I ragazzi di San Benedetto sono venuti a trovarci

Leggiamo le testimonianze delle classi VB e VE del Liceo Scientifico Statale “Rosetti” di San Benedetto del Tronto che ci hanno fatto visita mercoledì 13 febbraio 2019: sono istantanee più belle di qualunque fotografia, piene di emozione e di riflessione. Grazie, ragazzi che ci aiutate a credere in un’Italia e in un futuro migliori!

PENNY a San Benedetto (testo scaricabile in PDF)

Ecco le voci dirette delle studentesse e degli studenti di San Benedetto:

A ROMA IL PARADISO SI TROVA SOTTO TERRA

13 febbraio 2019

13 febbraio 2019

In via Domenico De Dominicis a Roma, in un enorme garage seminterrato, si trova una delle associazioni più attive in Italia per quanto riguarda l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri, la scuola “Penny Wirton”. Un locale essenzialmente bianco e grande. A renderlo accogliente sono tutti i colori delle decorazioni, delle sedie e dei libri, ma soprattutto il sorriso e la gioia, visibile negli occhi di ciascuno che in quel luogo lavora e impara.

La Penny Wirton è un luogo di insegnamento e filantropia.

Entrando mi sono subito trovato spiazzato dalla quantità di sedie presenti in un’unica sala. La cosa che mi ha sorpreso, poco dopo, è stato vedere quanto velocemente tutti quei posti siano stati riempiti da individui di tutte le età, sia per insegnare, sia per apprendere.  Non mi sarei mai aspettato un genere di didattica così diversa da quella a cui sono abituato, ma allo stesso tempo così efficace. Non appena sono entrate, le persone erano “supermotivate” e desiderose di imparare.

Alla Penny Wirton ho visto interesse, motivazione, desiderio verso l’apprendimento.

È sempre bene rapportarsi, venire a contatto, conoscere l’esistenza viva, vera e reale di bisogni, necessità, problematiche che si incontrano nel cambio radicale della vita di chi lascia il proprio paese per andare a vivere in un altro. La conoscenza della lingua è un piccolo aiuto in questo difficile passaggio. Trovare delle persone che ti aiutano a superare le tue difficoltà non è scontato, e quando le trovi ti sembra quasi di essere in Paradiso.

La “Penny Wirton” è una goccia di serenità nel mare triste della dura vita.

Là fuori in mezzo ai viali trafficati della città c’è l’aspra quotidianità, ci sono i mille problemi legati alla sopravvivenza, c’è un mondo a volta ostile.

Ho visto facce rilassate e serene, quasi che il momento dell’apprendimento fosse leggero e piacevole lì dentro.

Il ragazzo con cui ho avuto l’opportunità di discorrere è stato contento di raccontarci le cose orribili, che aveva vissuto nel suo paese d’origine, come se il parlarne servisse a liberarsi delle tante brutte immagini infernali che affollano i suoi ricordi.

Alla Penny Wirton puoi incontrare persone che hanno avuto la forza di reagire a condizioni estreme di vita.

I volontari che lavorano come insegnanti donano il loro tempo ad una missione davvero speciale. Io penso che lo facciano perché credono nel cammino positivo che ciascuno individuo può fare per raggiungere i propri obiettivi. È necessario mettere ognuno nelle condizioni ottimali per poter esprimere il suo potenziale lavorativo e sociale. Solo così si può raggiungere l’integrazione e combattere la povertà o l’ignoranza che spinge alla criminalità.

La Penny Wirton è anche un luogo di salvezza.

Entrare in contatto con questa realtà è stato un momento di crescita per tutti noi. Il confronto, reale e senza filtri che abbiamo vissuto, ci ha permesso di portare a casa un pezzettino di fiducia nell’umanità, uniti dall’ aver condiviso piccoli successi nell’apprendimento lingua italiana.

                                                                             Stefano Straccia, 5^E

 

 

Sono rimasta molto colpita dalla “Penny Wirton”.

Secondo me, oggi più che mai, c’è bisogno di mobilitarsi per includere gli stranieri.

Nonostante se ne parli tanto, personalmente non avevo mai visto qualcuno mettere in pratica ciò che predica.

Ieri ho avuto il piacere di passare del tempo in un’associazione che cerca seriamente di fare qualcosa. Durante la prima mezz’ora d’introduzione Affinati è riuscito a trasmettere la gioia e la volontà che tanto motivano lui e i volontari. Sono sicura che dietro ci sia molto lavoro e che le difficoltà non manchino, ma il fatto che non abbia mai nominato nulla di tutto ciò dimostra come sia effettivamente appassionato in quello che fa.

Nell’ora successiva ho affiancato una volontaria che insegnava l’italiano ad un adulto iracheno.

Purtroppo, nonostante venisse circa un pomeriggio a settimana da settembre, aveva ancora difficoltà a comprendere quello che cercavamo di spiegargli.

Secondo me l’unica pecca di questo sistema d’istruzione è che gli insegnanti vengono cambiati praticamente ad ogni lezione. Ho notato che la volontaria non aveva idea delle difficoltà dell’uomo, perché dal programma scritto sul foglio-registro emergeva che erano stati trattati molti argomenti, che però, di fatto, non erano stati assimilati.

Quello che mi ha davvero sorpreso è stata la voglia di imparare che l’uomo manifestava. C’erano delle difficoltà nel comunicare, ma questo non lo ha scoraggiato, infatti continuava a chiedere spiegazioni. Quando non era possibile farlo a parole, abbiamo provato a disegnare ciò che cercavamo di spiegargli e a tradurre con il telefono dall’italiano all’arabo.

Questa esperienza è stata decisamente motivante, perché mi ha ricordato che non bisogna arrendersi di fronte alle difficoltà.

Alessandra Eugeni, 5^B

 

 

Come si può raccontare una delle migliori esperienze fatte in cinque anni, anzi direi proprio la migliore? 

Ho conosciuto una volontaria che stava insegnando ad un iracheno, che già viveva in Italia da due anni. Una cosa che mi ha colpito è il desiderio da parte di questo uomo di imparare. Io in tutto il mio percorso scolastico non ho mai visto tutta quella voglia di imparare una lingua, e pensare che spesso sottovaluto la difficoltà dell’italiano, essendo la mia lingua madre, ma per la prima volta mi sono resa conto di quanto sia difficile e sono rimasta ammirata dagli sforzi fatti per cercare di riuscire a parlarla.

Mi sono resa anche conto di quanto sia difficile insegnare, in quanto non sempre sono riuscita a farmi capire subito e ho dovuto trovare un altro modo per spiegare il concetto. Ma soprattutto più che aiutare la volontaria a spiegare questa lingua, mi sono sentita come un’alunna fra i banchi.

Questa esperienza l’ho trovata meravigliosa, ho veramente capito cosa vuol dire desiderare veramente qualcosa e fare di tutto per cercare di averla. Da ciò prendo sicuramente più sicurezza in me stessa e soprattutto cercherò di essere più altruista. Solo in questi casi si capisce di essere veramente fortunati, quindi ringrazio tanto l’iracheno che ho conosciuto per avermi insegnato così tanto in così poco tempo.

Alessandra Lotorio, 5^E

 

 

Prima di partire per Roma pensavo che la nostra visita alla “Penny Wirton” sarebbe stata veloce, affrettata e “superficiale”. Immaginavo che la nostra vicinanza ai diversi ragazzi stranieri, che hanno passato difficili situazioni, li avrebbe potuti mettere in difficoltà, quindi pensavo che avremmo avuto una visione d’insieme e ci sarebbe stata una certa distanza tra noi e loro.

Invece per fortuna non è stato così. L’accostamento a loro è stata un’ottima idea e ha reso questa mia esperienza veramente toccante, formativa, speciale, e mi ha fatto capire tante cose.

Io ero difronte ad un ragazzo giamaicano. Si chiama Ricardo. È  in Italia da undici mesi e non sape parlare quasi per niente in italiano, però sa un po’ di inglese. Durante l’ora, insieme ad un volontario, abbiamo studiato le basi dell’italiano (il verbo essere e avere, alcune parole, etc) e io gli ho spiegato alcune cose in inglese. È  un ragazzo che, a prima vista, può essere accostato ai classici stereotipi degli immigrati che vengono in Italia e si comportano male, perché aveva orecchini, tatuaggi, puzzava di fumo; ma in realtà dal modo di comportarsi si notava tutta la sua bontà e la sua umiltà.

Per esempio, ogni volta che si soffiava il naso chiedeva scusa (in genere i ragazzi della mia età non chiedono scusa quando si soffiano il naso).

Inoltre ho potuto capire meglio la situazione in cui si trovano gli immigrati quando vengono in Italia.

Alessandro Pignati, 5^B

 

Credo che l’esperienza alla “Penny Wirton” sia stata, senza dubbio, una delle più formative in questi cinque anni.

Non mi sarei mai aspettato emozioni forti come quelle che ho provato durante l’incontro.

Credo che sia quasi impossibile riuscire a descrivere certi momenti lasciando venir fuori ciò che hanno suscitato in me.

Quando, infatti, il Professor Affinati, due anni fa, ci aveva parlato di questo suo progetto, avevo pensato che fosse una bellissimo ciò che era riuscito a realizzare…

Tuttavia, sedermi lì su quel banco, con un ragazzo che, dopo avermi affascinato con la sua storia, cercava di apprendere il suono e i significati di alcune parole con tutto l’impegno e la determinazione possibili, che spesso a noi ragazzi italiani mancano per portare a compimento anche lo studio di una sola materia, mi ha completamente sconvolta.

Ero più che felice, ho provato una sensazione da me mai provata prima di quel momento. Definirla “felicità” non credo possa bastare per dare l’idea di quello che l’incontro ha suscitato in me.

Mi hanno colpito le parole che prima di iniziare l’affiancamento ai volontari ci ha detto il Professor Affinati, cioè che, conoscendo queste persone, riusciva a conoscere meglio anche se stesso.

È bastata solo un’ora per riconoscere in queste sue parole una grande verità.

È stata un’esperienza a trecentosessanta gradi, che mi ha permesso di crescere insieme ad altri.

Alessia Piccioni, 5^B

 

 

L’esperienza alla “Penny Wirton” mi ha piacevolmente colpito.

Da come era stata prospettata, pensavo si trattasse di un incontro con l’autore in cui magari si sarebbe data maggiore rilevanza alla sua attività di scrittore. Al contrario, l’incontro si è incentrato sulla spiegazione della funzione della scuola e della sua organizzazione nell’atto pratico.

La “Penny Wirton” svolge, secondo me, un ruolo fondamentale nella società; oggi infatti quello dei migranti è un tema molto caldo e delicato. Molti non li vogliono perché sono qui senza i permessi necessari, e/o senza un lavoro e vivono per strada, magari rubando per sopravvivere.

La “Penny Wirton” è importante perché aiuta ragazzi –e non solo- ad integrarsi, insegnando loro la nostra lingua; e a mettersi in regola, rilasciando loro un attestato che permette di ottenere il permesso di soggiorno, e forse anche un lavoro.

L’esperienza diretta con il ragazzo iraniano mi ha aiutato a vedere con altri occhi una persona diversa da me per lingua e cultura.

Solitamente in tv, al telegiornale, quando si parla dell’argomento immigrazione, si sentono solo dati e azioni politiche da parte di paesi europei per evitare gli sbarchi. Si tralascia completamente l’aspetto umano, tantoché ormai ci siamo abituati a sentire delle morti di queste persone e dei loro naufragi. Sembra quasi un film al quale assistiamo indifferenti.

L’incontro con questo ragazzo, invece, mi ha ricordato che dietro il termine “immigrato” c’è quello fondamentale di “uomo”, e ho scoperto che una persona all’apparenza tanto diversa in realtà è simile a me in molti aspetti.

Alessio Capriotti, 5^E

 

 

La mia esperienza alla “Penny Wirton” è stata sbalorditiva. 

Non pensavo di essere in grado di affrontare una tale situazione e di interagire con persone straniere. Sono stati loro a farmi sentire a mio agio e questo ha fatto sì che io mi calmassi e godessi appieno dell’opportunità che i miei insegnanti e il professore Affinati mi hanno dato. Mi ha colpito come queste persone si siano aperte con noi, raccontandoci la loro storia, le loro difficoltà in Italia, le loro passioni e le loro aspettative. Ho incontrato volontari/insegnanti e ho ammirato alunni sia con molta voglia di fare ed imparare la lingua sia con la voglia di migliorare se stessi. Persone che non demordono e che lottano per cambiare la loro vita.

Beatrice Malighetti, 5^B

 

 

Ventaglio, coniglio, cespuglio. Castagna, spugna, lavagna. 

Ci sono tanti ragazzi che, prima di uscire di casa, oltre alle chiavi, si assicurano di avere un mucchietto di parole da mettere in tasca. Non si sa mai quello che potrebbe servirti, meglio prendere un po’ di tutto. Anche qualche accento, che sennò la gente non capisce. Io invece penso che la gente capisca, e quando non capisce è perché fa finta. Ma non in quel luogo, non in quella stanza, dove tutti quei colori che illuminano ogni angolino non sono altro che la luce riflessa dei gesti delle persone che decidono di farne parte. Vedere tutti quanti collaborare, guardarsi negli occhi e porsi sullo stesso piano, senza pretese ma con tanta determinazione, è stato come staccarsi dalla realtà con tutte le sue egoistiche competizioni.

Ho visto radunarsi tutto il positivo che non incontri fuori dentro una stanza, dove ad ogni sorriso una barriera si infrange.

Spero di non dimenticare mai lo sguardo sincero di Turpreet, che ringrazio per avermi mostrato come fare a prendersi cura del sentimento di umanità.

Benedetta Vagnarelli, 5^B

 

 

Per me l’esperienza del 13 febbraio presso la “Penny Wirton” di Roma è molto difficile da descrivere per la forza e l’impatto che hanno avuto sia su di me e sia sugli altri ragazzi.

È  stimolante vedere quell’immagine di “scuola” che ha dei contorni perfetti. Infatti, nonostante non sia la scuola architettonicamente più “bella” che c’è, è piena di “amore per il futuro”.

Chissà perché noi, ogni giorno, non siamo come quei ragazzi che abbiamo visto! Forse perché non ci ricordiamo del nostro domani, forse perché per noi è così semplice arrivarci.

Proprio perché abituati ad andare a scuola per “stare sulle nuvole” e “stenderci sul banco”, è indimenticabile vedere persone comuni diventare docenti e altre persone comuni mettersi in discussione e impegnarsi davanti a una lingua sconosciuta e spesso molto difficile. È anche molto stimolante osservare il rapporto di fiducia che si instaura tra docente e discente, senza idea di competizione o voglia di sovrastare l’altro.

Io non credo che si riesca a esprimere a parole la bellezza dell’opera di Eraldo Affinati, perché certe cose vanno vissute, e quella scuola ha un’aria magica che solo dopo esserci entrati si può “sentire”.

Carla Vittoria Ascani, 5^B

È

 

Mercoledì 13 Febbraio siamo andati in visita, con la classe, alla sede centrale della “Penny Wirton” a Roma.

La prima cosa che mi ha molto colpito è il fatto che ogni persona avesse un volontario che insegnasse l’italiano. Venendo da un contesto scolastico in cui sin da piccoli ci si ritrova in classe almeno con altre venti persone, tutte seguite dallo stesso insegnante, ho trovato questo metodo innovativo, e anche molto bello, dato che in questo modo si dà molta importanza al percorso personale del singolo, e probabilmente ciò permette all’alunno di migliorare più velocemente.

Durante la visita ho “insegnato”, insieme ad una volontaria, ad una ragazza cinese, la quale però sapeva esclusivamente parlare solo cinese; nonostante ciò, la volontaria non sembrava essere scoraggiata, anzi cercava il miglior modo per permettere alla ragazza di capire ciò che le stavamo spiegando e anche di sentirsi soddisfatta dei progressi.

Mi ha colpito anche il numero di persone che facevano da volontari, e anche la gran quantità di nazionalità e etnie presenti al centro.

Credo sia stata davvero una bella esperienza, ma trovo difficile descrivere le emozioni provate, non sono spiegabili ma di sicuro positive.

                                                                                                                                        Chiara Candidori, 5^E

 

 

L’esperienza vissuta nella scuola “Penny Wirton” è stata per me una delle più belle ed emozionanti fatte in questi cinque anni di superiori.

All’interno di questa scuola, costituita da volontari di ogni età, sono stata a contatto con persone che erano lì per imparare la nostra lingua per scopi diversi. Coloro che frequentano i corsi hanno storie differenti, chi è emigrato dal proprio paese con la speranza di avere un futuro migliore, chi è venuto qui per fuggire da situazioni tragiche, chi è approdato qui per fare volontariato.

Ad esempio io ho potuto assistere ad una lezione di un volontario con un ragazzo proveniente dalla Spagna, che è venuto in Italia per fare a sua volta volontariato in alcuni centri sociali.

Di questo ragazzo, che a soli ventotto anni ha già girato mezzo mondo, ho potuto ammirare il coraggio di lasciare la propria famiglia in Spagna, in un paesino vicino Barcellona, per viaggiare sia per lavoro che per svago.

Io credo che ogni scuola dovrebbe intraprendere esperienze simili, perché soprattutto grazie a questi incontri noi ragazzi riusciamo a capire come sia davvero il mondo e quanto sia difficile affrontare gli ostacoli che potremo incontrare durante la nostra vita, ed inoltre ci rendiamo conto di quanto sia importante aiutare chi si trova più in difficoltà rispetto a noi.

Claudia Ottaviani, 5^B

 

 

Il 13 febbraio 2019 io e la mia classe abbiamo effettuato una gita a Roma per visitare la scuola “Penny Wirton”.

Giunti sul posto siamo stati accolti calorosamente da Eraldo Affinati e sua moglie. Non ho potuto fare a meno di notare l’entusiasmo che il professore e sua moglie mettono nel loro lavoro.

Interessante, del suo discorso iniziale, è stata la descrizione del loro metodo d’insegnamento, che ritengo possa essere una possibile idea per una futura riforma della scuola. Credo che il dare ruolo attivo allo studente attraverso una lezione “discorsiva”, svolta direttamente tra professore ed alunno, sia un ottimo modo per permettere allo studente di imparare.

Ho potuto osservare questo metodo in azione, assistendo ad una lezione tra una studentessa e la relativa insegnante di italiano. Quel che ho apprezzato molto è stato l’impegno profuso sia dai professori, i quali adempivano ad un compito difficile, quale quello di insegnare a persone, talvolta anche analfabete, la complessa lingua italiana, sia dagli studenti, dai quali traspariva la volontà e la voglia di imparare.

Mi ha fatto molto riflettere questa esperienza, poiché mi sono trovato di fronte a quello che, a mio parere, è quasi il modello di scuola ideale. Spesso capita che gli studenti vivano la scuola come un peso ed un obbligo, quando invece dovrebbe essere soltanto un piacere. Nella scuola “Penny Wirton” ho assistito ad uno scenario raro, dove gli studenti studiano perché volenterosi di imparare, e non perché forzati, dove è impossibile non comprendere ciò che viene spiegato, poiché si dispone di un professore che segue soltanto te.

Ci sono molti elementi positivi. Altro elemento che ho ammirato è stata la dedizione impiegata da Affinati e sua moglie che, nel corso degli anni, sono riusciti a realizzare il loro sogno di far nascere una scuola lavorando sodo e avvicinandosi al traguardo passo dopo passo.

Credo di poter concludere dicendo di aver passato una bella esperienza.

Ernesto Caselli, 5^B

 

 

Passare un pomeriggio assistendo ad una lezione presso la “Penny Wirton” di Roma in presenza del professor Affnati è stata una esperienza unica. Unica perché distante da noi, i “normali” studenti della scuola italiana, e distante dalla classica concezione di scuola stessa.

Siamo stati a contatto diretto con una lezione pomeridiana di questa particolare scuola creata dal professore Eraldo Affinati e da sua moglie, animata da decine di volontari che per due pomeriggi a settimana decidono di farsi (o tornare) insegnanti di italiano per coloro che ne hanno bisogno. In questa scuola completamente gratuita vanno infatti stranieri e immigrati, giovani o adulti, persone che faticano a trovare un posto nella società anche per colpa della loro “mancanza” linguistica.

Molte di queste persone hanno passato momenti difficili, chi in cerca di un posto migliore o chi magari è scappato dalla guerra. Trovandomi là, di fronte a loro, mi sono sentito piccolo, come un bambino che guarda qualcosa più grande di lui. Proprio per questo ho fatto fatica a domandare a queste neostudenti i motivi per cui fossero lì, per quanto in effetti volessi farlo. Sono persone che si portano qualcosa di pesante addosso, ma non si lasciano schiacciare. Sono determinati, si impegnano nell’imparare una delle lingue più difficili al mondo per trovarsi un lavoro ed andare avanti. Nei loro atteggiamenti e nei loro occhi c’era tanta tristezza e dolore, ma la mascheravano con un intenso ottimismo per il futuro. Da diversi di loro dipendono infatti altre persone, familiari e amici, che vorrebbero farcela ad arrivare fino a lì.

È È È  proprio su questa positività che si fonda questa scuola. Altrettanto incredibile sono senza dubbio i volontari che si impegnano ad aiutare queste persone. Mi ha trasmesso qualcosa di molto bello vedere tante persone animate dalla voglia di aiutare. Mi ha pervaso un senso di fiducia nel genere umano, perché è qui che l’uomo dà il meglio di sé, quando cerchiamo di avvicinarci l’un l’altro, invece di ergere muri.

Io credo che non rivedrò mai nessuno di loro, ma spero vivamente che ce la facciano, che trovino un posto in questo mondo in continuo movimento, e che magari un giorno riescano a sentirsi di nuovo a casa.

Fabio Mercante, 5^B

 

 

Quando molto ingenuamente ho chiesto a Mohamed e Mamadou, due studenti della “Penny Wirton”, di insegnarmi qualcosa in arabo, mi è stato detto: “Marhabaan, kayf halik (?)”. “Ciao, come stai?”.

Effettivamente la prima cosa che balena nella mente, se venisse chiesto a me, come credo a molte altre persone, di trasmettere una sola espressione nella mia lingua, a una persona straniera, sarebbe questa.

Ciao, come stai?

Mi ha fatto riflettere parecchio. Come è possibile che a pochi, troppo pochi, interessi la risposta. Quanto progresso. Quanta inciviltà.

L’ignoranza che dilaga in Italia riguardo gli immigrati è disarmante. Moltissimi indifferenti pronti a puntare il dito, a parer mio come bambini irresponsabili, e così pochi disposti ad aprire gli occhi nei loro confronti, e soprattutto ad ascoltare.

Ascoltare le testimonianze di due ragazzi che per essere qui, oggi, hanno vissuto l’inferno, è stato un pugno nello stomaco per me.

Non mi sono resa conto di quanto questa realtà fosse cruda, finché non mi sono trovata faccia a faccia con Mohamed, che prima di arrivare a Roma ha subito delle ingiustizie impressionanti, e Mamadou, mio coetaneo che ha vissuto situazioni non augurabili a nessuno. Poterli aiutare insieme alla professoressa Fiore in un’attività che potrebbe sembrare banalissima per chiunque, cioè insegnare i pronomi personali, è stata l’esperienza che reputo  più formativa del mio intero percorso scolastico.

Oltre che utile, se non necessario, per loro imparare l’italiano in un luogo “protetto” come la scuola fondata dal professor Affinati e da sua moglie, credo sia terapeutico.  Sapere che ci sono persone che fanno del bene, in una società che ci mette i paraocchi nei confronti del prossimo, come fossimo cavalli, e poterle incontrare mi hanno riempito il cuore.

Grazie infinite per l’esperienza vissuta e per la speranza che mi avete trasmesso.

Federica Malizia, 5^E

 

 

La visita alla “Penny Wirton” di Roma a mio avviso è stata un’esperienza fantastica, istituzioni come questa restituiscono la fiducia nell’uomo e realmente rendono il mondo un posto migliore.

Vedere la positività di tutto l’ambiente ti riempie il cuore, sia gli immigrati che i volontari sono entusiasti e volenterosi, chi di imparare e chi di poter dare una mano al prossimo.

La possibilità di rapportarsi uno a uno pone docente e studente sullo stesso piano, aiutando a creare un clima quasi familiare.

Insieme a un volontario e ad un mio amico ho avuto modo di relazionarmi con Zaree, un ragazzo iraniano venuto in Italia per poter studiare. È   stata una delle ore più piacevoli della mia vita: ci siamo conosciuti, abbiamo scherzato, gli abbiamo insegnato qualcosa, ma soprattutto ci siamo sentiti vicini, come amici, nonostante fossimo dei perfetti sconosciuti.

Proprio per questo bellissimo clima che si respira all’interno della “Penny Wirton” credo che questo tipo di scuola, oltre ad un valore didattico, abbia un importante valore sociale, perché permette a persone che magari sono lontane dalla loro famiglia e dalla loro cultura di sentirsi parte di una comunità.

Francesco Concetti, 5^E

 

 

Caro Eraldo Affinati,

l’esperienza vissuta alla “Penny Wirton” è stata incisiva e piacevole. 

Purtroppo io e la mia classe siamo rimasti con i Suoi allievi e i volontari per un tempo irrisorio, ciononostante i momenti passati con Ualid mi sono rimasti impressi (almeno per ora) e mi sono divertito con lui.

Immagino che per Lei sia stata una fatica ospitarci, e purtroppo non ha avuto nessun riscontro da parte nostra sulla visita, dato che ci siamo trattenuti veramente poco e non abbiamo avuto il tempo di parlargliene; di questo mi dispiaccio. Se fossimo restati nel suo istituto più tempo, avremmo certamente potuto esprimere le nostre opinioni sull’ esperienza vissuta con i ragazzi frequentanti la Sua scuola e, soprattutto, avremmo avuto modo di relazionarci in modo adeguato con i suoi alunni.

La ringrazio per l’accoglienza che ci ha riservato.

Gianluigi Ramovini, 5^B

 

 

Ultimamente non ho passato un periodo facile. Il senso di smarrimento –credo normale- che accompagna la mia età, unito ad un paio di situazioni difficili, mi ha lasciato addosso un senso di insicurezza e di inadeguatezza. Fatico soprattutto trovare un senso alla mia vita ed esistenza calata all’interno di questo mondo.

Obiettivi concreti, come possono essere quelli scolastici ora e, poi, lavorativi, in prospettiva mi appaiono come effimeri. È come se sentissi che c’è qualcosa di più, qualcosa di più profondo, che va aldilà della semplice quotidianità che vivo ogni giorno.

L’incontro è l’esperienza avuti alla “Penny Wirton” sono stati per me una boccata d’aria fresca: mi hanno aiutato a rimettere la mia vita in prospettiva, a ridimensionare la portata dei miei problemi, soprattutto all’interno della mia testa.

Namal, Mamadou e Mohamed, con le loro storie differenti da un lato ma allo stesso tempo così simili tra loro, mi hanno veramente ispirato. Sono storie di coraggio, di persone che hanno rifiutato di rassegnarsi e che hanno voglia di mettersi in gioco: tutto ciò suscita in me un’enorme ammirazione ed ha contribuito a riaccendere qualcosa all’interno della mia anima. Essendo inoltre passato molto tempo dalla mia ultima esperienza di volontariato, l’essere loro di aiuto mi ha ricordato di come forse, alla fine, un senso la mia esistenza ce l’ha.

Giovanni Riga, 5^E

 

 

Credo che quella alla Penny Wirton sia stata un’esperienza formativa, soprattutto dal punto di vista umano. 

Per prima cosa, non mi aspettavo tale partecipazione da parte dei volontari, persone di tutti i ceti e di tutte le età, che in pochi minuti hanno riempito la stanza e si sono spartiti i compiti da svolgere.

Ogni volontario è assegnato ad un immigrato ed io sono capitato con Henry, un omone di trenta anni (ci tiene a ribadirlo perché la sua carta d’identità al contrario gliene assegna ventisei) proveniente dalla Nigeria, arrivato da poco più di un mese in Italia. Nonostante abbia passato solo un’ora con lui, ho capito quanto sia profondo e importante il rapporto di fiducia che si instaura tra l’alunno e l’insegnante alla “Penny Wirton”, poiché si basa sulla collaborazione diretta tra due persone. A trarne i benefici non è solo il ragazzo immigrato, che acquisisce la padronanza della lingua italiana, ma è anche il volontario che, stando a contatto con così tante persone di diverse nazionalità e con storie di vita impressionanti, arricchisce il proprio bagaglio culturale e ciò lo aiuta anche ad avere una mentalità aperta.

La più bella sensazione provata è l’appagamento per aver contribuito in piccolissima parte alla formazione di un uomo che si è fidato di te sin dal primo istante e pone nelle mani dei volontari il proprio futuro, la propria crescita.

Iacopo Cacaci, 5^B

 

 

Nella giornata del 13 febbraio, durante l’uscita didattica a Roma, era previso l’incontro con lo scrittore Eraldo Affinati presso la sua scuola, la “Penny Wirton”. Essa nasce grazie ad un’iniziativa dello scrittore e di sua moglie, e prevede l’insegnamento della lingua italiana a donne, uomini e ragazzi, che non superano nemmeno la maggiore età, immigrati, da poco residenti in Italia. Quelli che hanno aderito a questo importante progetto sono tutti volontari, dei quali mi ha molto colpito l’ampia fascia d’età che coprono.

Francamente, entrato in questa scuola, non riuscivo a pensare a ciò che avremmo fatto, ma tutto mi aspettavo tranne che affiancare un insegnante volontario e condurre una lezione insieme ad un ragazzo egiziano di 17 anni residente a Roma da poco più di 2 mesi.

All’inizio ho avuto un po’ di timore perché non sapevo come approcciarmi al ragazzo e non mi sentivo all’altezza del “compito”, credendo di dover improvvisare una lezione e spiegargli la lingua che conosce a malapena. Col passare dei minuti ho preso molta confidenza anche grazie al clima di solidarietà che si è creato nell’aula.

Ero molto preso dal momento e dalla nuova esperienza, che –ribadisco- non mi aspettavo mai di fare, tant’è che l’ora è passata in un attimo e mi è un po’ dispiaciuto terminare la lezione.

La ritengo una delle esperienze più bizzarre e formative che ho vissuto in prima persona.

Mi sono seduto al banco come studente perché sapevo che in quell’ora avrei portato a casa qualcosa di nuovo.

Leonardo Narcisi, 5^E

 

 

Mercoledì 13 Febbraio ho avuto l’opportunità di partecipare ad un incontro con Eraldo Affinati, fondatore della “Penny Wirton”, associazione incentrata sull’insegnamento dell’italiano a degli stranieri grazie a volontari.

Di questa esperienza sono molte le cose che mi hanno stupito e affascinato, e che mi resteranno nella memoria per il resto della mia vita.

Probabilmente la considero l’esperienza più formativa che ho fatto durante il mio intero percorso scolastico, in quanto ho affrontato direttamente questioni e preso coscienza di fatti che ogni giorno ci vengono raccontati in televisione.

Dopo essere venuti a conoscenza della storia di questa associazione, ci è stato permesso di partecipare a una lezione, di interagire ed aiutare i volontari nel loro compito di insegnare italiano alle persone straniere.

Ciò che mi ha subito colpito riguarda la quantità di stranieri, ma soprattutto di volontari, che partecipano alle lezioni. Dal questo momento in poi ho capito in quale realtà mi trovavo, in cui il principale obbiettivo è di aiutare gli stranieri, chiunque essi siano, affinché riescano ad integrarsi al meglio nella nostra società. Il numero di volontari mi ha fatto capire l’importanza che c’è dietro questo progetto e la vera intenzione di dare una mano a chi vive invece in mille difficoltà.

Durante lo svolgimento della lezione mi ha colpito anche il modo in cui queste sono fatte, in quanto non sono come inizialmente le immaginavo, ma “faccia a faccia”, uno ad uno, affinché possano essere proficue al massimo. Durante l’incontro i sentimenti che in me sono prevalsi sono stati la tenerezza e la volontà di voler dare una mano il più possibile.

Nonostante il fatto che dal mio punto di vista si possa arrivare ad alcuni miglioramenti nello svolgimento delle lezioni, è stata una delle esperienze più interessanti e formative della mia vita.

Ringrazio chi ha reso possibile questo incontro e ogni giorno dà una mano a queste persone.

Leonardo Speranza, 5^E

 

 

 

Ieri io e il mio amico Fabio abbiamo conosciuto Walter, un giovane di trent’anni di origine olandese, che ha come obbiettivo quello di imparare l’italiano.

L’esperienza fatta ieri alla “Penny Wirton” è stata così forte e coinvolgente da far rimanere concentrati e attivi dei ragazzi che avevano appena visitato le bellezze di Galleria Borghese.

All’inizio non ero molto entusiasta di visitare una scuola, ma dopo pochi minuti sono stato travolto da questa esperienza.

Ascoltando Walter ho capito molte cose anche sulla nostra lingua, non avevo mai pensato alla reale difficoltà e alla complessità della grammatica italiana. È stato bello condividere con un “estraneo” le proprie conoscenze e contemporaneamente apprenderne di nuove. Proprio questo scambio di saperi e di esperienze è ciò da cui la scuola italiana dovrebbe ripartire. La varietà di etnie corrisponde ad una varietà di culture diverse fra loro, tutte ricche a loro modo di conoscenze, e questa varietà è la vera ricchezza che possediamo.

Nell’ultimo anno ho viaggiato molto, attività che amo molto perché solo in questo modo posso veramente mettermi in relazione con altre culture. La visita alla “Penny Wirton” mi ha lasciato la stessa sensazione che provo quando viaggio.

Credo che nei miei cinque anni di scuola superiore questa sia stata l’esperienza più interessante e costruttiva, e vorrei consigliarla ai ragazzi delle altre classi che non erano presenti.

Lorenzo Ciarrocchi, 5^B

La visita alla “Penny Wirton”, una scuola per stranieri dove volontari insegnano l’italiano, è stata un’esperienza molto bella e formativa. 

Dopo che lo scrittore Affinati, ideatore della scuola, ci ha presentato il ruolo dei volontari, ognuno di noi ha affiancato un volontario e ha vissuto l’esperienza diretta. Io ho affiancato un volontario che insegna ad uno straniero poco più grande di me. Mi è parso bellissimo il fatto che il ragazzo somalo avesse un’enorme voglia di imparare e cercasse qualsiasi esempio per assicurarsi di aver capito.

La sua voglia di apprendere mi ha fatto realmente capire l’importanza di questa scuola e l’enorme privilegio che Affinati ha dato agli stranieri pensandola e progettandola.

Martina Rubicini, 5^E

 

 

A seguito dell’esperienza nella scuola “Penny Wirton”, nata grazie ad un’idea del professor Eraldo Affinati, posso dire di essere rimasta molto colpita e di provare una grande ammirazione nei confronti di tutti coloro che partecipano all’iniziativa.

Quello che mi ha lasciata maggiormente senza parole è stato l’elevato numero di volontari pronti ad aiutare, con pazienza e dedizione, tutti coloro che, provenendo da paesi stranieri, hanno la necessità di imparare la lingua italiana, in alcuni casi anche partendo da basi di lettura e scrittura inesistenti.

Molto bella è anche la forza di volontà di coloro che, pur di imparare, alternano il lavoro alle ore di studio.

Purtroppo, al giorno d’oggi, è molto raro incontrare persone tanto generose da voler spendere il loro tempo per metterlo a disposizione di qualcun altro. Soprattutto nel mondo che ci circonda attualmente, pieno di rabbia nei confronti di chi lascia il proprio paese e le proprie famiglie per venire qui. Questo accade perché si tende ad ignorare per quale motivo queste persone arrivano in Italia, spesso a causa di situazioni molto difficili e serie. Grazie a questa scuola ho capito che c’è ancora qualcuno che crede nella parola “umanità”. Credo infine che sia estremamente ammirevole questo tipo di volontariato, che permette a tutti di sentirsi accettati e di vivere nelle migliori condizioni possibili.

Martina Sciarra, 5^B

 

 

Io ed altri ragazzi siamo stati accolti in un’ampia sala all’interno di una stanza ben attrezzata, con l’indicazione che lì avremmo incontrato un scrittore sensibile ai problemi sociali.

Quando Eraldo Affinati ha iniziato a parlare, ha rapito subito l’attenzione, andando oltre le mie aspettative, con un discorso di presentazione nel quale ci ha descritto il suo progetto della scuola “Penny Wirton”.

Il desiderio di Affinati era quello di creare un luogo in cui gli stranieri avrebbero potuto apprendere la lingua Italiana, e ci è riuscito!

In un secondo momento, abbiamo avuto l’occasione di partecipare attivamente a una lezione nella scuola.

Ognuno di noi ha affiancato uno straniero con un “professore”, o meglio un volontario italiano di Roma. In un’ora io ho provato a insegnare qualcosa della lingua italiana a un ragazzo egiziano, come ad esempio i giorni della settimana, i numeri, e alcuni verbi.

Grazie a questa esperienza ho conosciuto aspetti della realtà del mio paese fino ad ora ignoti, che mi hanno reso più sensibile a tematiche quali l’integrazione sociale.

Matteo Rosati, 5^E

 

 

Gentilissimo Maestro Eraldo Affinati,

non finirò mai di stupirmi della sua energia e della sua voglia di fare. Voglia che è riuscito a trasformare in voglia di fare del bene.

Più che Professore o Scrittore, ho voluto utilizzare per lei l’epiteto di “Maestro”, rifacendomi ad un testo che ho letto qualche tempo fa: “La scuola spiegata al mio cane”. In questo testo, scritto da una professoressa di Lettere che spiega in modo chiaro e semplice (come se si stesse riferendo appunto al suo cane) punti di forza e di debolezza della scuola italiana fino al 2004 (anche se per molte cose l’autrice è ancora troppo simile alla professoressa di “Lettera a una professoressa” del nostro caro Don Milani), ho trovato uno spunto di riflessione veramente interessante. Nella vita incontriamo tantissimi insegnanti, ma solo chi è veramente in grado di insegnare qualcosa della vita, qualcosa che ti cambi, che ti renda migliore e ti faccia comprendere meglio verso quali lidi ti porterà l’instabile e imprevedibile barca della vita che viaggia nel mare del futuro, può essere definito “Maestro”.

Se prima del primo incontro ero intenzionato a fare l’insegnante, una volta finito non avevo più dubbi.

È per me un modello da seguire per tutto quello che fa per gli altri e per il suo modo di vedere la scuola. Credo che nel suo libro, tra le persone che ricordano Don Milani, manchi proprio lui”: ho scritto questa frase nel testo che la Professoressa Paoletti ci fece scrivere a caldo, dopo che l’avevamo salutata due anni fa. E sono sempre più convinto di questo.

Non è da tutti supportare realmente e mostrare di credere nella “folle” idea di un ragazzo 19enne di aprire una filiale della sua scuola nella propria zona, non dicendogli semplicemente “Bravo”, come si fa con un bambino, che ti porta a far vedere un suo disegno, solo per farlo contento.

Questa “folle” ’idea mi è nata partecipando ad un progetto di Teatro, Danza e Scrittura creativa in cui la metà del gruppo è formato da molti ragazzi immigrati che alloggiano presso la Caritas della mia diocesi. Parlando con l’insegnante che tiene questo corso a proposito del modo in cui questi ragazzi imparano l’italiano e scoprendo che non conosceva la realtà della “Penny Wirton”, mi si è accesa questa scintilla di follia.

Non mi fraintenda, la follia di cui parlo non ha nessunissima accezione negativa. Credo solo che chi davvero ha fatto del bene debba essere stato folle. Folle ad andare contro un mondo in cui l’utilitarismo e l’egoismo sono i principi cardine. Folle a buttarsi in un progetto che inizialmente potrebbe sembrare più grande di chi ci prova, solo per amore degli altri. Ed è innegabile che molto spesso la follia è sintomo di genialità (anche se non nel mio caso).

Sicuramente essere stato accolto da Lei anche questa volta in una maniera così cordiale e affettuosa ha reso l’incontro ancora più positivo. Vedere sua moglie Luce –di nome e di fatto, visto come le brillavano gli occhi nell’accoglierci e poi nell’aiutare tutti quei ragazzi-, insieme all’altra volontaria che ci ha ricevuto, agire con un’esperienza pratica che costituisce l’essenza della “Penny Wirton”, mi ha tolto ogni dubbio.

Io e la Professoressa Michela Musarra, una delle insegnanti accompagnatrici, abbiamo già cominciato a mobilitarci per realizzare questo mio “folle” sogno. Suo marito e sua figlia sarebbero disponibili e stiamo cercando di convincere chi si occupa della Caritas per dare vita a questo progetto.

Rimanga sempre così pieno di vita, di voglia di fare e di amare il prossimo. Io cercherò umilmente, per quel che posso, di seguire il Suo esempio.

Con tanta stima e affetto e nella speranza di risentirci per un buon esito della mia scintilla di follia.

Matteo Silecchia, 5^B

 

 

L’esperienza vissuta alla “Penny Wirton” è stata molto toccante e speciale. 

Non avendo mai sentito parlare di istituzioni come questa, inizialmente non sapevo cosa aspettarmi; soltanto quando mi sono seduta accanto alla volontaria e ho visto e sentito come un uomo, laureato, sposato con figli, e che fino ad allora non aveva parlato altre lingue eccetto il russo, si sia messo in gioco per cercare di imparare la nostra lingua, allora ho capito.

Fin da subito la volontaria mi ha spiegato quanto sia difficile spiegargli l’italiano. Non conoscendo altra lingua, gli unici modi per farsi capire sono l’uso del vocabolario dal russo all’italiano o i gesti.

Nonostante tutto, sono riuscita a notare sia nella volontaria che nello studente la forza di volontà e l’impegno che li unisce, perché, da una parte, la volontaria tenta di insegnare, sempre col sorriso, e di far sì che le sue lezioni siano proficue, dall’altra, lo studente si applica il più possibile per cercare di imparare una lingua nuova e difficile e per riuscire a sentirsi a casa anche qui.

Nicole Brandimarte, 5^E

 

 

Gentile Prof. Affinati,

mercoledì 13 febbraio 2019 ho avuto modo di poter ammirare da vicino l’attività della Sua associazione, e sinceramente sono rimasto colpito dall’esperienza fatta.

La cosa che più mi ha sorpreso è come sia difficoltoso spiegare la nostra lingua, l’Italiano, a stranieri che probabilmente non sanno leggere neanche nella loro lingua. È  difficile capire quali ostacoli devono affrontare, sentendoli raccontare da una persona che li ha “vissuti” in prima persona come Lei, finché non li si vede con i propri occhi.

Io ho assistito a una “lezione” di uno dei volontari della “Penny Wirton” a una ragazza australiana. Per me, che ho parlato italiano fin da bambino, è stato strano vedere questa ragazza andare in difficoltà nel distinguere nomi maschili da quelli femminili, per esempio.

Sicuramente l’esperienza da me vissuta può dirsi costruttiva a tutti gli effetti.

Ringraziando per la cortese attenzione, porgo cordiali saluti.

Massimo Di Fulvio, 5^B

 

 

Mercoledì 13 Febbraio ci siamo recati presso la scuola “Penny Wirton” di Roma, di cui Eraldo Affinati è il fondatore.

A mio avviso sono state due ore preziosissime che mi hanno letteralmente aperto gli occhi su un tema molto “caldo” attualmente: l’integrazione degli immigrati nella società.

Sin dall’inizio dell’incontro, in cui Affinati e i suoi collaboratori ci hanno descritto il loro progetto dalle origini, ero tanto interessato quanto incuriosito nell’osservare in che modo una tale istituzione operasse.

Uno degli aspetti che mi ha colpito di più è stato senza dubbio l’eliminazione della lezione frontale a più persone a favore di una in cui ciascuno straniero viene affidato ad un volontario.

La parte dell’incontro che ho preferito in assoluto è stata la possibilità di affiancare queste persone nella lezione e osservare il metodo di apprendimento e quello di insegnamento, tanto affascinanti quanto soggettivi.

Sono rimasto completamente affascinato dalla forza di volontà sia dei ragazzi che dei volontari. I primi, nonostante i problemi di lingua e non solo, cercano di sfruttare ogni momento a loro disposizione per apprendere il più possibile. I collaboratori, sebbene siano messi a dura prova da problemi di comunicazione con i ragazzi, cercano in tutti i modi di insegnare qualcosa di prezioso con attenzione e generosità.

Per un paio d’ore dentro quell’aula non ho percepito minimamente differenze né sociali né culturali, ma solo ed esclusivamente tanta armonia e serenità.

Pierpaolo Illuminati, 5^E

 

 

L’esperienza alla “Penny Wirton” mi ha colpito… 

È stupefacente come quello che all’inizio poteva sembrare un sogno irrealizzabile si sia trasformato in realtà. La determinazione e la pazienza degli insegnanti è ammirevole e sono ancora stupito del fatto che, in una società come la nostra, il numero di volontari nel tempo aumenti, anzi che diminuire.

I racconti di vita di tutti gli studenti, intrecciati a formare un magnifico velluto che è la “Penny Wirton”, sono toccanti e devono fungere da motore per un Paese che, come i bambini, ha ancora paura dell’“uomo nero”, solo per via di storie sentite qua e là.

Quello che mi è rimasto della nostra visita è un forte messaggio di integrazione che, ora più che mai, sono felice di condividere.

Riccardo Costantini, 5^B

 

 

Durante il viaggio in pullman mi ero immaginata cosa e chi mi sarei trovata di fronte. Non mi aspettavo di entrare in contatto con così tante persone e di ritrovarmi in un’unica aula, piuttosto che tante aule diverse come in una scuola normale.

Mi hanno colpito anche la disponibilità dei volontari e la voglia di imparare degli immigrati, che mi hanno fatto pensare a quei rifugiati politici che qualche anno fa sono venuti ad Acquaviva. Una grande differenza però sta nel fatto che nel mio paese non ho sentito tutta questa solidarietà e questo amorevole coinvolgimento, anzi l’integrazione con il resto dei cittadini è stata piuttosto limitata. La causa di ciò si può rintracciare in parte nel fatto che Acquaviva sia un piccolo paese, ma questa non è sicuramente l’unica. Ritengo che aprire altre scuole come questa possa essere una grande opportunità per chiunque ne faccia esperienza. Infatti può essere costruttivo non solo per coloro che sfruttano questa opportunità per imparare la lingua, ma anche per coloro che si mettono a disposizione per offrire il loro sapere.

Ciò che riporto da questa esperienza è la voglia di aiutare ogni volta che si presenti l’occasione.

Sara Bettoni, 5^E

 

 

Arrivati alla scuola, ad accoglierci ci sono Eraldo Affinati e sua moglie Luce, che ci presentano il loro progetto, ci spiegano cosa significhi per loro questa opportunità, rispondono alle nostre domande e ci dicono che quello stesso pomeriggio avremmo affiancato i volontari nell’ “insegnamento”.

Mi guardo intorno e vedo la sorpresa nel volto di quasi tutti i miei compagni: non ce lo aspettavamo.

Mentre arrivano volontari e “alunni” inizio a farmi mille domande, a interrogarmi se io sia in grado e possa reggere tanta emozione.

Ho affiancato Mahmud, un ragazzo azero di 22 anni, che è arrivato in Italia 4 mesi fa e frequenta la facoltà di Giurisprudenza in inglese.

Ho aiutato la volontaria a tradurre un po’ di parole italiane, al ragazzo sconosciute, in inglese, una lingua a lui più familiare.

Mi ha colpito la sua voglia di voler imparare e di voler capire a tutti i costi, di voler comprendere fino in fondo la differenza tra “davanti” e “di fronte”, o voler apprendere cosa sia “io vorrei”.

Ci sono concetti che sono difficili da spiegare e per questo ammiro tantissimo il lavoro di tutti i volontari che, senza voti o giudizi, riescono a far spuntare il sorriso nei volti dei ragazzi che desiderano imparare.

È stato bello vedere Mahmud sorridere per essere riuscito a coniugare tutto il verbo “essere” all’imperfetto, o per aver fatto degli esempi corretti con le preposizioni semplici.

L’emozione più grande l’ho provata nel momento in cui mi ha chiesto quando sarei tornata da loro e mi ha pregato di scrivergli una “dedica” sul suo quaderno.

Spero che il mio “GOOD LUCK” si riveli davvero di buon auspicio.

Palazzo Borghese per una che ama l’arte come me è stata un’esperienza unica, ma passare un’ora alla “Penny Wirton” è stato più appagante di visitare mille musei, loro sono la vera arte.

Sara Funari, 5^E

 

 

Alzo lo sguardo dal libro. Davanti a me c’è un ragazzo, un po’ più in là una donna incinta, poi una donna con un passeggino. Prima avevo intravisto un uomo in ciabatte con i calzini. Accanto a me una donna un po’ più avanti con l’età. Mi giro a destra e sinistra, sono curiosa come quel bambino che avevo visto poco prima scorrazzare fra un banco e l’altro.

Tutto d’un tratto mi scopro affamata. Affamata di storie di vita, di conoscere tutte quelle vite che si intrecciano in una grande aula, e di poter creare dei legami con ciascuno. All’improvviso, come un guizzo, nella mia testa si insinua una domanda, una di quelle banali alle quali chiunque risponderebbe con un “Ma che domanda è? Ovvio che …”: ma cosa spinge tutte queste persone a venire qui ogni pomeriggio? Questa domanda mi sorge in maniera spontanea proprio mentre osservo una donna incinta, oppure la mamma che fra mille difficoltà è riuscita ad esserci anche questo pomeriggio portando con sé suo figlio (sui tre anni), o ancora quando mi rendo conto che la signora che mi siede vicino non si accontenta di saper soltanto parlare l’italiano, ma vuole anche imparare a leggere e scrivere, lottando.

Io questa lotta la vedo e dentro ci trovo la lotta di mio fratello che ha nove anni e ogni giorno cerca di strappare alla dislessia una lettura scorrevole di quante più parole possibili. La vedo nell’espressione contratta del suo viso, mentre cerca in ogni modo di leggere una parola e poi un’altra senza far passare più di cinque secondi; la vedo mentre tiene il segno con la matita e ad ogni capoverso il segno lo perde.

Mentre la mia mente è bombardata da sensazioni e novità, per un breve istante un’impressione svela a me stessa la risposta a quella domanda di prima. Il velo delle risposte ovvie, scontate e fortemente influenzate da quella che tutti chiamano “normalità” è tolto via dalla domanda che era uscita genuina dal mio cuore. Sento quanto importante possa essere il linguaggio e quanto, per tutte le persone presenti, riuscire a comunicare sia fondamentale. Così come per le persone sorde o mute il linguaggio dei segni è un’opportunità di apertura in un mondo nel quale altrimenti si sarebbero potuti sentire ai margini, così per ciascuno di noi è essenziale trovare il proprio linguaggio (e mi sto riferendo non solo alla lingua italiana, ma anche al “mezzo”, che ciascuno cerca e forse trova, per comunicare con gli altri, ad esempio la pittura o la musica o altro). Mi sembra di scorgere sotto tutto ciò un’esigenza essenziale: la dignità dell’uomo. L’apprendere una lingua che mi permetta di potermi relazionare con la società, di esprimere il mio pensiero e di non sentirmi escluso dal resto delle persone che mi circondano, credo sia strettamente legato alla dignità umana.

Ed ecco la risposta che mi do alla domanda di prima: penso che, oltre alla necessità pratica di riuscire a parlare, leggere e scrivere la lingua italiana, ci sia anche qualcos’altro di ben più radicato nel profondo dell’uomo. Non ho idea fino a che punto questa riflessione possa essere ragionevole, ma sicuramente tocca delle corde profonde dentro di me. E poi insomma non mi sento mai tanto bene come quando riesco a svelare qualcosa che ci era già stato dato come definito. Solo così mi sento di vivere bene: quando riesco a comprendere ciò che sta sotto ciò che mi circonda, quando riesco a vedere negli occhi della gente qualcosa che va oltre ciò che sembra. Sogno il giorno in cui riuscirò a sottrarre alla monotonia di gesti tutti uguali e ripetuti senza un motivo che abbia le proprie fondamenta in qualcosa di solido, il maggior numero di motivazioni fondate delle mie azioni.

 

Alla “Penny Wirton” mercoledì ho riscoperto esserci una vita, dentro e fuori di me, forse anche per poco, che avevo perso di vista. Ho riscoperto che alle parole corrispondono fatti e che c’è un disperato bisogno di concretezza, fatti che si fondino su qualcosa di saldo, come ad esempio il bene.

Ho bisogno di scoprire cosa mi dice questo bene, così che io possa portare nel mondo il mio contributo positivo, che vada ad incidere qualcosa di semplice, ma importante, su ciò in cui ogni giorno mi imbatto.

Poi c’erano tutti quei volontari: chi spiegava sorridendo, chi si ritrovava a fare versi o espressioni facciali strane per cercare di far comprendere a chi aveva di fronte un determinato suono, una determinata sillaba. Quante storie, quante interazioni, quante difficoltà, quanti sorrisi in una sola grande aula, e mi viene quasi da dire: “Quanta forza!”. Un luogo in cui tutte le distanze vengono abolite, o almeno ci si prova, e ognuno lì si impegna fare del proprio meglio.

E vorrei dire tante altre cose, ma forse finirei per ripetermi. In tutto ciò che ho scritto c’è forse un’esagerazione o forse no, forse è solo una rilettura di un’esperienza passata. Forse è una banalità, un’esaltazione eccessiva, e forse non è tutto così importante come mi è sembrato in un paio d’ore che mi sono presa per scriverlo. Eppure per quanto insignificante sia una goccia nell’oceano, è necessario tenere a mente che l’oceano è costituito da tante piccole gocce.

Sara Palombo, 5^B

 

 

Ero fin dall’inizio curiosa di conoscere Eraldo Affinati, non avendo potuto farlo due anni fa, ed ero ancor più curiosa di saperne di più sulla “Penny Wirton”. 

Appena arrivati, dal modo in cui siamo stati accolti, avevo già intuito e colto l’importanza che loro danno all’accoglienza, che siano italiani o che siano stranieri, ragazzi o anziani, donne o uomini. Mi sono trovata subito a mio agio, si respirava un’aria positiva, una di quelle che fanno bene dentro.

Quando sono arrivate tutte quelle persone provenienti da ogni parte del mondo, dopo le parole di Affinati, ho cercato di immaginarmi la storia di ognuno di loro ed ero davvero emozionata di avere l’opportunità di stare a contatto con una realtà che sono abituata a vedere in televisione o leggere sui giornali.

Ho seguito la lezione fatta ad un ragazzo albanese di quindici anni e mi sono fatta raccontare un po’ la sua storia, del suo passato in Albania e del suo presente in Italia. Ho percepito dai suoi occhi e dalle sue parole un’enorme forza di volontà, una forte determinazione e un grande desiderio di imparare la lingua per sentirsi parte di noi e per iniziare una nuova vita. Mi ha confessato a denti stretti di non aver avuto mai la possibilità di studiare nella sua terra natia e di essere felice di averne l’opportunità qui. È stato in quel momento che ho capito la vera importanza della scuola e che l’istruzione è davvero un privilegio che non dobbiamo dare per scontato. Loro, in quel luogo, ascoltano le lezioni e imparano l’italiano; loro, in quel luogo, hanno dato a me una forte lezione di vita: che aiutare ed essere solidali con il prossimo, chiunque sia, fa veramente bene al cuore, e che bisogna essere sempre gentili, perché non sappiamo mai quale storia, quale peso si porti sulle spalle la persona che abbiamo davanti!

Uscita dalla “Penny Wirton” mi sono sentita piena di amore dentro, perché è proprio di amore e solidarietà che profuma quella stanza, ed è troppo bello vivere certe esperienze che arricchiscono cuore e anima, in un mondo dove non si fa altro che respirare odio e discriminazione!

Sara Torzolini, 5^B

 

 

L’esperienza fatta alla scuola “Penny Wirton” di Roma è stata veramente bella e forte. Mi ha emozionato vedere come le persone possano mettere così tanto amore e forza in ciò che fanno. Credo che entrare in un luogo dove ti senti amato, apprezzato e NON giudicato sia la cosa più bella.

Inoltre mi ha colpito molto vedere che tutti i volontari, che si trovavano lì, avevano il sorriso stampato in faccia, che è una cosa che a volte sembra banale, ma in realtà è la più bella forma di amore.

È stato forte vedere come ciò che a volte resta solo tra le parole possa realizzarsi in qualcosa di concreto e bello.

Credo che queste siano le vere esperienze che possono motivare i giovani di oggi.

La lezione “faccia a faccia” è stata inoltre molto educativa, perché siamo stati per una volta noi ragazzi dalla parte dell’insegnante. Non nego che sia difficile, perché hai nelle tue mani le conoscenze e il futuro “linguistico” di un ragazzo che si fida completamente di te.

Credo che se avessi la possibilità di poter essere una volontaria lo farei ad occhi chiusi.

Silvia Capecci, 5^E

 

 

Ritengo molto positivo l’ “incontro-esperienza” del 13 febbraio presso la Penny Wirton di Roma. 

La prima parte è consistita in un benvenuto, da parte dello scrittore Eraldo Affinati e degli altri due “fondatori” della scuola, e in una presentazione della scuola per far comprendere a noi ragazzi delle classi 5^B e 5^E del Liceo Scientifico “B.Rosetti” l’importanza di tale istituzione per gli immigrati che hanno un permesso di soggiorno, e le motivazioni che hanno spinto il professore e gli altri volontari a realizzare, a credere e migliorare in questo progetto.

Successivamente noi ragazzi ci siamo divisi in coppie per poter vedere e toccare con mano cosa fanno i volontari. Io ho assistito a una “lezione” di Venerio ad Alì, un uomo proveniente dal Sud Sudan e che il 15 febbraio ha “festeggiato” il suo secondo anniversario in Italia. Nel suo Paese lavorava nel settore dell’edilizia e, a causa delle guerre in Africa Centrale, ha deciso di lasciare la propria patria con la speranza di poter lavorare e vivere meglio in Italia. Attualmente sta frequentando un corso di formazione e sta apprendendo l’italiano per poi poter lavorare.

L’uso corretto della grammatica italiana non viene insegnata solamente tramite la spiegazione delle regole, ma soprattutto tramite la conversazione, la lettura di brevi testi – con lo scopo di migliorare la lettura della lingua italiana e far memorizzare la rappresentazione grafica delle parole- e l’esecuzione di alcuni esercizi di formazione delle parole tramite piccoli “mattoncini”.

Questa esperienza, per poter essere compresa, deve essere vissuta in prima persona.

Simone Costanzi, 5^B

 

 

Descrivere come emozionante, inaspettata o formativa l’esperienza alla “Penny Wirton” sarebbe troppo semplice. È  stato molto più di questo. 

Alla “Penny Wirton” ho trovato più umanità, comprensione, disponibilità verso l’altro che in tutte le esperienze che ho avuto, poiché ogni azione compiuta dai volontari era così spontanea che per qualche secondo sono rimasta spiazzata.

Al giorno d’oggi fare qualcosa spontaneamente, per il puro piacere di farla, è raro, poiché si è abituati a dover fare, poiché è dovere farlo. Sia i volontari sia gli allievi erano lì per il bisogno di esserci, perché ne sentivano il bisogno, forse solo alcuni degli studenti che stavano lì per fare alternanza scuola-lavoro si sentivano obbligati a farlo, ma penso che fosse una minima parte.

Grazie a questa opportunità ho potuto anche vedere le persone semplicemente come tali e non come stranieri, immigrati, profughi. Molte volte nei notiziari televisivi si dimentica di dare spazio alla parte umana di coloro che vengono in Italia, si dice solo la nazionalità, se hanno commesso qualche reato, come se questa caratterista bastasse a descriverli, e che possono rappresentare un peso, un problema.

Io in questa scuola ho visto la possibilità, che essi rappresentano, di arricchire il paese, di permettere un cambiamento nel modo di pensare e di vedere l’altro.

Ho potuto ascoltare molte storie che raramente si conoscono a causa delle barriere linguistiche. Così ho capito ancora di più l’importanza della comunicazione e la necessità dell’esistenza di scuole come la “Penny Wirton”, poiché la comunicazione non può esistere senza la conoscenza della lingua, dell’altro, della sua storia.

Sofia Candidori, 5^E

 

 

L’incontro che abbiamo avuto alla “Penny Wirton” con il Professore Eraldo Affinati è stato molto interessante. 

Innanzitutto, poter vedere esempi concreti di generosità verso ragazzi immigrati non è cosa comune per me. A volte vivere in un mondo un po’ “isolato”, privilegiato, oserei dire, come il mio, porta forse a dimenticarsi di chi vive una quotidianità fondamentalmente diversa.

Nel concreto, sono stato contento di aver conosciuto Namal, un giovane di ventisette anni del Bangladesh, laureato in Economia e arrivato in Italia per via di “guerriglie”, come le ha definite lui, che stanno consumando il suo Paese. Purtroppo, questa situazione non è riconosciuta a livello internazionale, quindi Namal non è qui con lo statuto di richiedente asilo politico, ma semplicemente come immigrato.

Il suo livello di italiano mi ha stupito: sta studiando il congiuntivo e conversare con lui è stato semplice, parla in modo decisamente scorrevole.

Il motivo per cui io e Namal siamo stati capaci di parlare, di raccontarci è di certo merito di questo progetto.

Nello specifico, il progetto ha come obiettivo l’insegnamento della lingua italiana a persone immigrate nell’ottica di facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro o magari di favorire il proseguimento degli studi. Namal ne è un esempio.

Sono stato contento di partecipare a questo incontro e ancor di più di aver visto il bel legame che si instaura tra gli allievi e i docenti, i quali, in un periodo instabile come questo, di certo aiutano a mantenere un po’ di contatto con la nostra umanità.

Stefano Piergallini, 5^E

 

Quella alla “Penny Wirton” è stata l’esperienza scolastica migliore che io abbia fatto.

L’amore e il rispetto per il prossimo sono fondamenti di questa scuola. Sono rimasta particolarmente colpita e commossa dall’affluenza di volontari che si sono messi a disposizione degli immigrati, in tal modo non hanno dato loro solo l’opportunità di imparare la lingua italiana, ma anche di integrarsi nella comunità, e soprattutto hanno dato loro la certezza di avere un punto di riferimento.

Mi sono trovata così bene con queste persone che, quando è arrivato il momento di andare via, ho sentito dentro di me che stavo lasciando un posto che in meno di due ore mi ha fatta sentire come se fossi a casa, che mi ha aperto gli occhi su quella che rappresenta una delle questioni più discusse in Italia negli ultimi tempi, ho sentito di lasciare un posto dove potevo apprendere qualcosa in più rispetto a ciò che studiamo sui soliti libri di testo.

Ho imparato quanto la vita possa essere ingiusta nei confronti di persone innocenti, quanta sofferenza ci sia nel mondo e quanto un nostro gesto caritatevole possa, anche se in minima parte, alleviare l’effetto di estraneità rispetto al resto della comunità.

È È È  stata un’esperienza indimenticabile e sono grata a tutte le persone che mi hanno permesso di viverla, perché ho realmente compreso che nessuno merita di essere respinto come “diverso” solo perché non parla la nostra stessa lingua o perché ha un colore della pelle differente, anche perché in fondo cosa sarebbe la “diversità”?

Ognuno di noi è diverso a modo suo e non è sicuramente un dettaglio estetico o il paese di provenienza a poter motivare un atteggiamento di rifiuto. È, al contrario, il fascino quello che le persone straniere portano con sé e noi dovremmo solo essere intrigati e affascinati dalle loro culture e tradizioni, non dovremmo temerle, semplicemente conoscerle.

Vittoria Ciafrè, 5^E

 

 

Se ho pensato di portare i ragazzi delle mie due quinte a visitare la “Penny Wirton”, lo devo alla mia “formatrice” Adele Marcelli e all’incontro “spiazzante” con Eraldo Affinati. L’una e l’altra sono sulla scia di Don Milani. E sulla stessa scia ho visto a Roma tanti volontari… poi i miei studenti. 

E io?

Quando il 13 febbraio siamo venuti, dopo mille difficoltà burocratiche che mi avevano sfinito, sono entrata nella sala della “Penny Wirton” con l’animo di chi si sente svuotato, di chi ha perso la forza e il coraggio di fare scelte audaci ma necessarie, di chi cerca un appiglio e va dove può cercare un aiuto che non sia consolante ma “umano”…

Quello che ho trovato non è un appiglio. È  molto di più. Forse per la prima volta ho toccato con mano l’umanità, intesa sia come sentimento che anima le persone che come componenti di un unico insieme che si sforzano di comunicare.

E vedere negli occhi degli studenti lo stupore e la bellezza di un’esperienza forte mi ha veramente scosso.

Anch’io voglio seguire quella scia luminosa, ma ho molto cammino da compiere. Quando mi sento “svuotata”, adesso so cosa fare: riguardo le foto del pomeriggio alla “Penny Wirton”, mi do uno schiaffo e … mi metto in cammino.

Grazie di cuore a Eraldo, a Luce, alla signora che ci ha accolto con le caramelle, cofondatrice della scuola, e a tutti i volontari!

Prof.ssa Adriana Paoletti


 

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